Commento al Vangelo di domenica 4 novembre

Commento al Vangelo di domenica 4 novembre, XXXI Domenica del Tempo Ordinario:

Libro del Deuteronomio 6,2-6.

 perché tu tema il Signore tuo Dio osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti dò e così sia lunga la tua vita.
Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica; perché tu sia felice e cresciate molto di numero nel paese dove scorre il latte e il miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto.
Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo.
Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore;
 

Salmi 18(17),2-3a.3bc-4.47.51ab.

 Ti amo, Signore, mia forza,
Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore.
Mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo;
mio scudo e baluardo, mia potente salvezza.

Invoco il Signore, degno di lode, 
e sarò salvato dai miei nemici.
Viva il Signore e benedetta la mia rupe, 
sia esaltato il Dio della mia salvezza.

Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato,

Lettera agli Ebrei 7,23-28.

 Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo;
egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta.
Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore.
Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli;
egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso.
La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti all’umana debolezza, ma la parola del giuramento, posteriore alla legge, costituisce il Figlio che è stato reso perfetto in eterno.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 12,28b-34.

 In quel tempo, si accostò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore;
amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.
E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi».
Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è altri all’infuori di lui;
amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Commento di San Francesco di Sales (1567-1622)

vescovo di Ginevra, dottore della Chiesa

Dell’amore di Dio, 10, 11

L’amore di Dio, fonte dell’amore per il prossimo

Poiché Dio “creò l’uomo a sua immagine e somiglianza” (Gen 1,26), egli ha ordinato un’amore per l’uomo a immagine e somiglianza dell’amore dovuto alla sua divinità: “Amerai, dice, il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore; questo è il primo e il più grande dei comandamenti. Ora il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Perché amiamo Dio? “Il motivo per il quale amiamo Dio – dice san Bernardo – è Dio stesso”, come se dicesse che amiamo Dio perché egli è la suprema e l’infinitissima bontà. Perché amiamo noi stessi nella carità? Certamente perché siamo “immagine e somiglianza di Dio”. E poiché tutti gli uomini hanno questa stessa dignità, li amiamo come noi stessi, cioè in quanto sono delle santissime e vive immagini della divinità. In quanto tali… Dio non fa nessuna difficoltà a chiamarsi nostro Padre e a chiamarci suoi figli; in quanto tali, noi siamo capaci di essere uniti alla sua divina essenza grazie alla sua sovrana bontà e felicità; in quanto tali noi riceviamo la sua grazia e i nostri spiriti sono uniti al suo Spirito santissimo, “resi partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4)… E per questo la stessa carità che produce gli atti dell’amore di Dio, produce ugualmente gli atti dell’amore per il prossimo. Così come Giacobbe vide che una stessa scala toccava il cielo e la terra, servendo agli angeli sia per scendere che per salire (Gen 28,12), sappiamo che uno stesso amore si rivolge a Dio e al prossimo.